giovedì 16 luglio 2009

DIARIO DI UN VIAGGIO DETERMINANTE

Alla soglia dei miei 44 anni scoprii il mio clown….

Ho iniziato il mio percorso come clown in un periodo molto difficile della mia vita.



Era aprile 2009, venivo fuori da un anno terribile, l’anno in cui mio padre ha visto peggiorare giorno dopo giorno la sua malattia, facendo 9 ricoveri in ospedale in undici mesi.

Non era solo il suo dolore a stremarmi: la mia famiglia d’origine era sempre più lacerata, conflitti antichi e mai risolti pesavano e complicavano paurosamente ogni singola scelta che bisognava fare per lui, ogni occasione era buona per inscenare di nuovo vecchi drammi, rancori incartatisi, meccanismi patologici, paure, insicurezze.
C’era anche tanto amore, ma sembravamo tutti incapaci di farlo emergere con spontaneità.


C’era tanto dolore in tutto. Se non avessi avuto tre bambine a cui rendere conto avrei certamente pianto dalla mattina alla sera, era l’unica cosa che volevo fare, un pianto neanche più di rabbia, solo e unicamente di dispiacere, di rammarico.

Papà è morto a febbraio 2009. Come dire, è morto ma non è morto, è sempre presente, era presente anche quel giorno di aprile in cui ho conosciuto Nanosecondo per fare il mio primo laboratorio clown con lui.
Nanosecondo ha aperto la sua valigia magica da clown, e io ho pensato: “no, ora me ne vado”..... lì dentro aveva una mano finta, tutta cerea, mi sembrava la mano di papà quando è morto…. Mi son detta, ricaccia dentro tutto e cerca un po’ di ridere in questi due giorni!


Non sapevo che sarebbe iniziato un percorso magico, e soprattutto non sapevo che prima di arrivare a ridere veramente avrei pianto ancora molto….

Che strana la vita…ho scelto un lavoro che mi consente di partecipare al dolore degli altri….quasi lo fagocito, me ne nutro….e ora ho trovato questa via del clown, che dà innanzitutto a me il diritto al sollievo…
Nei due giorni con Nanosecondo abbiamo riso da morire, insieme a Squasa Pasa e Io Ero Saggio.


Io allora identificavo il clown con il pagliaccio.

In particolare, il mio era un pagliaccio sadico, ovvero, era diventato sadico nel corso del tempo.

Da piccola ero una bambina molto allegra, vitale, spumeggiante, i miei parenti mi aspettavano in estate perché facevo per loro degli spettacolini divertenti. Credo di aver imparato molto precocemente che quello era un modo per ottenere attenzione, per avere il diritto all’aria, cosa che sentivo di non aver mai avuto.

Mia sorella primogenita ha sei anni più di me. E’ sempre stata gelosa della mia nascita, me ne ha fatto quasi una colpa. Io ero piccola e non capivo che colpa potevo avere dell’essere nata. Ho cercato sempre di non darle fastidio, di non far pesare la mia presenza. Mi son sempre sentita con la paura di togliere l’aria alle persone, quasi dovessi scusarmi in continuazione di esistere. Anche la mia gioia diventava potenzialmente pericolosa! Mi sono limitata, vivendo sottotono, spiaccicandomi sul muro, laterale, per non dare nell’occhio.

Finanche all’università, nuove persone, ma vecchi meccanismi, non mostravo mai eccessiva gioia per un bel voto, per una grande soddisfazione, semplicemente implodevo.

Fare la pagliaccia da piccola mi gratificava molto all’inizio. Poi ho avuto la botta definitiva in seconda media: ero forzatamente allegra, battute a ogni costo, e quel pomeriggio a scuola, di fronte a un ragazzino che mi piaceva, una mia amica mi disse: “Carmè, ma la vuoi smettere di fare la pagliaccia?”

Sono rimasta senza parole. Definitivamente ko.

Per un po’ ho smesso, però ormai il copione lo sapevo a memoria, era l’unico che conoscevo, e così ho sempre continuato nella mia vita a vincere l’imbarazzo, o il senso di insicurezza con una battuta, spesso auto-ironica, auto demolitrice, come dire: mi butto giù io prima che lo facciano gli altri.

Ecco, tra le altre cose mi riesce bene fare le macchiette, la romana al di sopra di tutto, la ciociara se c’è una situazione potenzialmente erotica, la siciliana…

E il primo giorno di laboratorio con Nanos a Cairano ho sfoderato tutto il mio repertorio accumulato nei miei primi 44 anni.

Nanos mi ha lasciato fare, mi ha fatto esaurire tutte le cartucce, alla fine del primo giorno me ne sarei pure andata: io non avevo più personaggi, li avevo gonfiati tutti e fatti scoppiare nel corso della prima giornata, il mio pagliaccio aveva terminato la carica.

Ho avuto la netta sensazione della vacuità di tutto quello: dire che mi sentivo sprovvista di tutto è sottodimensionare il mio vissuto.

Mi sentivo spaesata, non avevo più da parlare con il romano, il ciociaro o il siciliano.

Dovevo trovare parole mie.

Già questa consapevolezza, sul finire della prima giornata, mi lasciava sbigottita e anche un po’ preoccupata.

La seconda giornata si è aperta per me sottotono.

Avevo dentro di me le definizioni che mi erano venute in mente il giorno prima, quando Nanos ci aveva chiesto: descrivete chi è per voi il clown.

Io avevo scritto:

il clown è:
-un pagliaccio;
-una persona che ha voglia di divertirsi e di non prendersi troppo sul serio;
-uno di intelligenza superiore;
-uno sfigato;
-uno che non ce la farà mai nella vita;
-Uno che dice la verità ridendo perché non la sa dire in un altro modo;
-uno che ha paura di dire la verità.

Alla fine della seconda giornata, Nanos ci ha chiesto di scrivere, ora, chi era per noi il clown. Io con sorpresa e piangendo, ho scritto:

il clown è:
-dolore;
-amore ;
-infanzia;
-identità ;
-la bimba che ero;
-magia ;
-la mia magia.

Nell’ultimo laboratorio che ho fatto con Nanos (nel frattempo ne ho fatti quattro) ho scritto:

Il clown è :
-Libertà;
-Amore ;
-Dolcezza;
-Soavità ;
-Bellezza ;
-Tenerezza;
-Calore.

Come mi sento io ora?

Sto ritrovando la mia bambina tesora, la mia violetta con la rugiada e non mi farò più calpestare.
Sto cercando di fare una buona vita.

E, come dice il mio amico Clown Ioerosaggio: "auguro per me e per tutti noi un futuro smagliante e un passato meraviglioso!"

Clown Patagocha

Nessun commento: