martedì 10 agosto 2010

Per "UNA NUOVA STRATEGIA D'AMORE"

“È chiaro che la via per guarire la società dalla sua violenza e dalla mancanza di amore è quella di sostituire la piramide di dominio con il cerchio dell’eguaglianza e del rispetto”.

A pronunciare queste parole è stato Manitonquat durante il suo intervento alle Nazioni Unite nel 1998, in occasione del 50° anniversario della morte di Gandhi. La via del cerchio è una via ambiziosa, che punta a cambiare non soltanto noi stessi, ma il mondo in cui viviamo. Che punta a guarire noi stessi, le nostre famiglie, le nostre comunità, la nostra Terra.

La via del cerchio è la via del cuore. Noi siamo energia e l’energia è movimento. Lo stesso significato del sé andrebbe riconsiderato. A me piace definirlo “se” (senza accento) congiunzione. Lo spirito mette alla prova il nostro corpo nelle forme esperienziali duali. Bene e male . Ma lo stesso bene e male non esistono. La stessa parabola del grano e della zizzania insegnano: solo il male può sorreggere il bene. Non è il “profondo” del nostro corpo che dobbiamo analizzare ma è “l’alto” e trascenderlo. Scoprire il significato ed il senso della nostra vita. Oggi abbiamo sempre più maggiori conferme sia dalle ultime ricerche nel campo delle neuroscienze che della biologia genetica e molecolare che dalla fisica quantica che il cuore è coinvolto direttamente in questo processo. In verità le filosofie orientali da tempo ci indicano questa strada. Il cuore, regola i flussi energetici vitali del nostro benessere e della nostra salute. Esserne pienamente consapevoli rende possibile creare un’armonia tra il battito del nostro cuore, il nostro cervello ed il ritmo vitale della Terra che oggi sono sempre più all’usino e ciò i aiuta: la terra è incinta! Il XXI secolo sarà caratterizzato da questo significativo cambiamento di paradigma: un uomo nuovo sarà l’erede di quello vecchio, in grado di costruire nuove comunità nel segno dell’amore e non della paura. Comunità di sognatori pratici: i clown? Credo di si nel senso di “uomini interi” perché il clown utilizza nuove vie di relazione che in alcuni casi come quella del cerchio è antica quando il mondo, sia per la propria formazione ma fondamentalmente per comunicare non ad un livello più “profondo” ma più “alto”.




Il termine Clown deriva da “colonus”: contadino, lo zotico , l’inurbano colui che batte le strade, arriva ad esibirsi nei circhi, per poi approdare alla corte dei Re, dove diventa il giullare, il folle che può permettersi di dire tutto quello che agli altri è vietato. Ai nostri giorni il clown è arrivato negli ospedali, dove diventa “uomo di medicina”, nella sostanza egli ri-prendendosi cura di “se” riesce a prendersi cura degli altri. Un percorso che non dimentica quindi il forte legame del clown con la terra.
Gli Dei nascosero la poesia nel cuore degli uomini , perché li nessuno l’avrebbe cercata. La trovarono solo i bambini, i poeti e i clown.
Come gruppi di clown è dal 2004 che ci riuniamo nel cerchio in occasione dei raduni ed incontri di diversa natura, anche nella nostra comunità di clown e sognatori pratici abbiamo “adottato” questa modalità d’incontro.

Inizialmente era un bel modo per stare insieme, per confrontarci tra di noi, con una modalità al di fuori dalle rotte abituali, ma presto ci siamo resi conto che il cerchio poteva entrare a far parte del percorso di formazione dei clown dottori. L’esperienza di questi anni mi ha confermato le aspettative ed il cerchio (il council comunemente detto) è stato inserito a pieno titolo nei principi dello statuto e dell’atto costitutivo della nostra Associazione Raduno Nazionale dei Clown Dottori in breve “Comunità RNCD”, definendoci “sognatori pratici” e come “uomini e donne di medicina”.

Dovremmo chiederci a questo punto quali possono essere “le nuove strategie di cura” del XXI secolo alla luce anche delle nuove ed importanti osservazioni scientifiche che ci vengono proposte dalla PNEI e dalle ricerche nel campo dei conflitti biologici e della natura stessa della malattia nel rapporto tra pensiero, emozioni ed organo. Per questo “curare” oggi significa, fare un percorso all’interno di un nuovo approccio verso un senso nuovo di “presa in cura” che è radicata nella “esistenza” considerando la malattia “una metafora della vita” e di per se un processo di guarigione come ogni processo di crisi ci impone di confrontarci con noi stessi e con gli altri in maniera diversa comprendendo meglio quali sono i nostri reali bisogni. E’ radicata anche nell’esistenza, di percorsi professionali che hanno dato al senso di cura “uno stare tra limiti e confini ben definiti”; nel mentre oggi ci si affaccia sempre più ad osservare la necessità di “integrazione dei diversi sistemi terapeutici” e che molti di questi, antichi come il mondo, andrebbero riscoperti ed osservati da un altro punto di vista. E quindi c’è necessita di uscire fuori dai confini. Affidarsi di più agli specchi dell’immaginazione e no solo dei saperi e gli stessi interventi realizzati con modalità scientificamente provate e quindi con “l’approccio del dubbio”. Quindi, il senso del prendersi cura può assumere significati diversi da chi lo uso o da chi lo legge. Un giorno mi chiamò a telefono un amico medico e mi disse che nell’ospedale dove lui lavorava era entrato un esorcista per curare un malato. Era scandalizzato. Io gli risposi e perché no?

Il termine anglosassone “to cure” e “to care” dove il primo significa “curare” (guarire una malattia) ed il secondo (therapeiuen) che significa “prendersi cura” della persona nella sua interezza, si concentra e valorizza le capacità attive della persona (effetto placebo). Lo stesso approccio “terapeutico” dell’attività del Clown “Dottore” che per un dato momento si “prende cura” della persona in una corsia i ospedale, si pone di fronte a lei non come se essa fosse una persona malata ma come una è persona e basta, nella “pratica” si rivolge alla sua parte sana, ovvero privilegia ciò che uno ha e non ciò che manca. La stessa epigenetica (scienza che studia il DNA) è paragonabile al testo che sto scrivendo e sul quale si faranno delle copie tipografiche uguali, eppure chi leggerà il testo lo potrà interpretare in maniera diversa e diametralmente opposta. La scienza è di per se uno sguardo “..oltre siepe” dove infiniti spazi ed universi si aprono alla nostra vista per una nuova e diversa presa di coscienza di “se” e della cura migliore possibile. In questo caso bisogna stare attenti però ed essere coscienti che la stessa ricerca di salute intesa come piacere, felicità non possono essere "perseguite" ma, devono solo "risultare". Nella sostanza più si mira ad esse più si mancherà il bersaglio. Ciò vale ancora di più se parliamo d'amore o di piacere sessuale (eros inteso nella sua più completa eccezione del termine) perché noi siamo incapaci a provare "orgasmi" di pura felicità. I nostri sono solo surrogati, perché contengono un elemento che è fuorviante: “l'attaccamento”. Ecco il problema è non chiedersi più (adesso) "io sono?" ma, "dove sono?".

Qui ricorro alla filosofia di Heidegger, per intendere la cura come “apertura verso se stessi” e gli altri, verso il mondo, avendo cura del mondo e degli altri. Lo stesso Heidegger suggeriva la differenza tra “cura autentica” e “cura in autentica”, dove nella “cura autentica” il soggetto si assume direttamente la “propria cura” e per quanto possibile non la delega agli operatori, se non per capacità o funzioni totalmente compromesse (casi di emergenza-urgenza). Per “cura inautentica” invece Heidegger considerava il totale abbandono dell’autonomia della cura e la delega ad operatori e professionisti della cura. Ecco spero che tutti noi siamo d’accordo sul “prenderci cura” e curare nella visione più corretta e in questo senso sperimentare anche nuove vie. In questo contesto di riflessione ripropongo il concetto “dell’abbandono della delega” senza che ciò significhi far da soli, anzi il contrario. La via del cerchio resta la via della relazione, del rispetto e della “non delega”.

Le leggi naturali che Darwin ha scoperto non erano e non sono giustificative e avrebbero fatto inorridire lo stesso Darwin, per come le stesse sono state interpretate in malo modo: autorealizzazione individuale per soddisfare aspetti meramente economici e materialistici e la stessa competizione dei mercati ha causato una riduzione progressiva delle spese sociali (scuola e salute). La lotta di sopravvivenza incentrata sulla competizione senza limiti alcuno tra gli individui, resta un aberrazione. Il paradosso in questa nostra epoca di vero oscurantismo individualistico (altra cosa è l’individuo nella sua unicità e quindi l’individualità), e solo a giustificazione strumentale delle leggi Darwiniani della selezione umana (competizione e delega, vanno di pari passi) che ci sta facendo allontanare sia dal contesto scientifico che naturale e per esso spirituale vero.

Quindi lo stesso concetto di prendersi cura degli altri passa necessariamente attraverso la necessità di prendersi cura innanzi tutto di se stessi, anche attraverso “strumenti” come la realizzazione di “una nuova strategia d’amore” (eros: nella sua più completa espressione, che non sia solo l’immagine utile agli scopi consumistici dello stesso sesso). La via del cerchio ci impone una “ricerca alta” del nostro “se” nel confronto ed il “congiunzione” con gli altri e con noi stessi nel segno qui del più “profondo” rispetto reciproco, basando il nostro impegno verso la disciplina della serenità, consapevolezza ed equilibrio.

La nostra comunità, che si raccoglie nel cerchio, è fondamentalmente una comunità di diversi tra uguali, dove non ci sono maestri né allievi, dove non c’è spazio per le gerarchie, ma soltanto un reciproco e profondo rispetto. Nel cerchio non c’è spazio per un unica verità, ma si creano le condizioni per parlare ed ascoltare con il cuore, perché emergano le verità di ciascuno, ed è una condizione perfetta perché il clown che si “nasconde” dentro ogni essere umano possa gioire, coltivare se stesso ed entrare in comunicazione “alta” con gli altri. Il clown è il nostro bambino interiore, quella parte autentica di noi stessi che abbiamo perso mettendoci le maschere di un quotidiano fatto di “non luoghi”.

Il clown non è una maschera ma è la nostra maschera. Il clown così attraverso il cerchio si esprime, parlando con il cuore, uscendo così da qualsiasi dinamica di potere. Nel viaggio (laboratorio) che proponiamo e che abbiamo chiamato: “Alla ricerca del tuo clown …ma se trovi qualcos’altro va bene lo stesso!”… invitiamo le persone a dedicare un proprio tempo alla ricerca del proprio clown interiore attraverso un cerchio della conoscenza: in questo modo le persone sono in qualche modo “obbligate” a parlare con il cuore, ad essere sincere, a mettere a nudo le proprie luci ma anche le proprie ombre. La stessa cosa si verifica nel laboratorio “una nuova strategia d’amore” in forma più leggera chiaramente perché rivolto a più persone. Così un gruppo di persone che si incontrano per la prima volta e si siedono o nella riservatezza del cerchio per la prima volta o stanno nel secondo caso una di fronte all’altra, quando si lasciano dopo qualche ora è come se si conoscessero da sempre. Un secondo o mille anni diventa la stessa cosa. E, quale modo migliore per iniziare a lavorare insieme? Il clown dottore è se stesso “bene e male”, solo prendendone coscienza che compie un’operazione di trasformazione della realtà, diventa un “essere umano intero”, non è più frammentato in un mosaico di luci ed ombre che non si riconoscono reciprocamente, ed è proprio attraverso questo processo arriva a riconoscere il divino che è in sé, che è in ognuno di noi, è per questo egli è “poesia fatta persona”.
In questi ultimi sette anni della mia vita come clown ho compreso molte cose di me e questa esperienza mi ha insegnato anche l’importanza dell’utilizzo della metafora quale chiave di ingresso al nostro cuore o l’intenzione paradossa che lo stesso clown utilizza per ri-decidere della sua esistenza.
Alcune delle più formidabili esempi di metafora dei “nativi d’America” ricorre al nome di animali e/o cose con l’aggiunta di una qualità. Questo linguaggio tratto dal mondo animale e dagli elementi della natura è utile per esprimere il proprio stato d’animo. Lo stesso clown è animale. La carcassa il corpo lo rende vero perché il pensiero è illusione il corpo realtà. “L’immaginazione è più potente della volontà” diceva Emile Coué (farmacista francese vissuto nel secolo, ed è proprio vero).
Praticando il council in questi sette anni abbiamo incontrato centinaia di persone, in un rito di riconoscimento reciproco, di comprensione della natura umana, rinnovando ogni volta questo rito con grande rispetto e comprensione della sua sacralità antichissima. Siamo sempre più convinti che il cerchio rappresenti un passaggio fondamentale nella formazione del clown dottore, sia per la conoscenza di se stesso e degli altri ma fondamentalmente per la gestione dei vissuti individuali e di gruppo. A volte abbiamo difficoltà a far comprendere le magie che ci accadono quando incontriamo in ospedale pazienti grandi e piccoli. Magie che sono difficili da raccontare, a meno che non le racconti ad un altro clown dottore. A volte non si trovano neppure le giuste lettere per comporre le parole per descrivere emozioni e vissuti. A volte raccontarle in pubblico sembra anche una forzatura, un’invasione di intimità profonda. Le cose che spesso si posso leggere in giro su molti libri in proposito, noi che viviamo direttamente l’esperienza comprendiamo che non rendono il giusto senso del vissuto. Dove quindi custodire questi vissuti se non in una “biblioteca dell’anima” ? E, cosi ne abbiamo aperta una nella nostra Comunità di Clown Dottori (RNCD).




Anche in questo senso la via del cerchio ci ha dato una mano per condividere tra i clown i vissuti rappresentandoci come questa via oggi sia riconosciuta anche dalla medicina (cosiddetta) ufficiale ed alcune facoltà di medicina hanno avviato percorsi di “medicina narrativa”. Logos, la parola come una proteina. Per questo ritengo che il cerchio ha una valenza specifica non solo nella parte iniziale della nostra formazione, ma anche nella vita stessa della comunità dei clown dottori, quale perfetta modalità di incontro e di riconoscimento reciproco. Ecco perché siamo grati a Manitonquat per questo insegnamento che speriamo di praticare sempre nel rispetto profondo del grande spirito.

Nanos

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