La presenza di una certa quota di disagio, conflittualità, sofferenza è insita nella nostra stessa condizione di esseri umani e costituisce il nostro fardello esistenziale di dolore.
È esperienza comune che talvolta, anche grazie a ciò (e non necessariamente ciò nonostante), si possa condurre una vita il più possibile aperta alla possibilità di: Essere, autostima, sicurezza, sfera fisica, psicologica, sociale, spiritua-le.
Divenire, capacità di raggiungere scopi ed obiettivi autonomamente prefissati, appagamento,
aspirazioni.
Appartenere, il modo e la possibilità che l’individuo e l’ambiente si integrino e si nutrano vicendevolmente.
Per usare le parole della famosa scienziata americana, Candace Pert, che nei suoi studi ha saputo inscrivere le brillanti ricerche sui recettori degli oppiacei nel più ampio quadro dell’unità corpo-mente, «la salute è molto più che l’assenza di malattie; significa vivere in modo non egoistico, che mira a pro-muovere una sensazione di comunione, amorevole cortesia e perdono. Vivere in questo modo crea una sensazione di felicità spirituale che aiuta realmente a prevenire le malattie. Benessere significa confidare nella capacità e nel desiderio del corpo/mente di guarire e migliorare, se appena esiste la possibilità di farlo».
Il terreno più che mai attuale, sul quale muoversi, può dunque venire individuato dal modo in cui influiscono reciprocamente le anomalie della neuro-chimica, le eventuali predisposizioni al piacere, le esperienze relazionali, ambientali e simboliche.
Compito ultimo della scienza, a seconda delle varie discipline nelle quali essa si esplica, dovrebbe sempre essere quello di portare l’Uomo ad un maggiore e più integrato livello di consapevolezza verso se stesso, verso gli altri, verso le creature animate e inanimate con le quali ci troviamo a condividere la nostra esistenza sulla Terra.
L’andamento dissociato e folle dell’individuo contemporaneo è l’inevitabile esito della grossa difficoltà e talora incapacità di esprimere se stessi.
La distanza dall’autenticità delle emozioni e la non consapevolezza conduce a, e allo stesso tempo è alimentata da, una visione meccanicistica, all’interno della quale parole come sentimenti, solidarietà, amicizia e amore sono quasi diventate tabù.
Lavorare nelle tossicodipendenze implica necessariamente riflettere su quella che può essere considerata, per usare le parole di Hillman (2002), una patologia della cultura, che spesso crea, o perlomeno supporta, la patologia dell’individuo.
di Carmela Longo
(psicologa - psicoterapeuta)
Clown Caramella
(Da Montanari C., Longo C., L’integrazione pluralistica nelle tossicodipendenze, percorsi formativi e terapeutici, F.Angeli ed. 2005)
(Da Montanari C., Longo C., L’integrazione pluralistica nelle tossicodipendenze, percorsi formativi e terapeutici, F.Angeli ed. 2005)
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