sabato 14 agosto 2010

LA NOSTRA è LA VIA DEL CUORE

La domanda infinita: qual è il significato della mia vita?


Com’è immaginabile non ci può essere una risposta univoca a questa domanda.


Il mondo è bello perché avariato, direbbe qualcuno. Dico anche che ognuno di noi è una parte di D’io sono. Quindi il significato della vita sta nel “verbo” nella “parola” direbbe qualcun'altro.




Logos?

Personalmente ho letto molti libri ma alla fine mi sono reso conto che non avrei mai potuto imparare quello che io non sono, per il semplice fatto che lo contenevo già. Ma è anche vero il contrario che ognuno di noi è tutto e quindi è solo una questione di comprensione e di saper leggere la propria esistenza nel verso giusto.


Ma qual'è il verso giusto?


Una partecipante ad un mio laboratorio clown che prima mi aveva chiesto che tecnica usi al termine dello stesso mi disse “sei autentico”! Ecco cos' vi svelo la mia tecnica: l'autenticità fuori da ogni maschera. In questo senso il clown rappresenta una vera è propria pedagogia.

Questa cosa mi fece riflettere e ritornare ad una considerazione che avevo letto poco tempo prima in un libro di Dario Fo “Manuale Minimo dell’Attore” (nuova edizione a cura di Franca Rama -Ed Enaudi Tascabili pag 140 "il presupposto di una Morale" e "Un eccezionale maestro con il quale non sono d'accordo" pag 141).



Insomma quando il Dario Fo in questa "discussione" con Jacques Lecoq sosteneva: “ Come si può imparare una pratica reale, che è quella di riferirsi ad una platea, senza il pubblico?” . Lo diceva in proposito del fatto che Lecoq gli aveva detto: “Nella mia scuola offro agli allievi tutto il bagaglio necessario a una buona educazione corporea e gestuaria …. poi ognuno è padrone di applicarla come e dove gli pare”.


“No!….” – rispose Dario Fo – “… questo distinguere la tecnica dal contesto ideologico, morale, drammaturgico, è un grave errore …” ..e continuando….” ..ed è talmente vero che i mimi di Lecoq si assomigliano tutti, che siano giapponesi o americani del Massachusetts o filippini o bergamaschi.” ........“E questo significa che alla base di certe scuole artistiche di teatro, di mimo, di clown, si privilegia il discorso tecnico a qualsiasi problema. Si impara nella sostanza come respirare, come sviluppare emotivamente il linguaggio del corpo…ma ci si dimentica della parola”.



Logos, qui nel senso più largo del termine di significato del suono, e del suo effetto sull’anima del personaggio attore, mimo o clown, avendo coscienza che il clown è attore , regista , scenografo di se stesso e che non finisce mai d'imparare.


Ora veniamo alla nostra "morale". Quello che noi facciamo come Clown “Dottori” e/o “Sociali” (Volontari) non può essere per me avulso da questa brevissima premessa che mi da modo di spiegare la pedagogia della nostra via, la via del clown, la via del cuore.


Nel laboratorio “clown” che propongo e che ha per titolo: “Alla Ricerca del Tuo Clown…ma, se trovi qualcos’altro va bene lo stesso” (non a caso), c'è un rischio bruciare le tappe di questo viaggio che resta lunghissimo, e mio padre che faceva l’autista di camion mi diceva sempre: “quando inizi un lungo viaggio mettiti comodo.”


D’altronde vè l’ho già rappresentato, che questo laboratorio semplicemente è solo l’inizio di un percorso che richiede una lunga “palestra clown”. Per "palestra clown" intendo proprio quel contatto con il pubblico, la strada, i diversi ambiti dove è possibile mettere ognuno in gioco il proprio clown, nella relazione con gli altri. La nostra è una "Università del Marciappiede", e che nessuna me ne voglia quando dico scherzando nel paradosso dell'azione che "i nostri clown vanno a battere".

E’ proprio da questo contatto con il “pubblico”, con la strada, nei diversi ambiti e contesti dove all’inizio propongono che devono agire i nostri clown, risponde proprio a quella esigenza rappresentata da Dario Fo, di trovare una morale del proprio essere Clown, quel “grande ideale” del proprio Clown che altrimenti gli Dei ucciderebbero.


Così è successo in alcuni casi (metaforicamente parlando) quando si crede di poter fare il clown solo grazie a fatto di aver imparato qualche tecnica: camminare, muovere gli occhi, o tenerli fissi, senza che dietro questa scelta dell’uso stessa della tecnica (come fare un palloncino o altro gioco…) non ci sia assolutamente un forte ideale, una forte morale,ed aggiungo nel senso più nobile del termine un valore “alto politico” che trascende ogni aspettative di un “sé” per affermare un “se” senza nessun accento senza nessuna aspettativa del fare, senza nessun potere del proprio ego credo che il clown muoia.


Continua Dario Fo nel suo libro: “E’ pericoloso imparare pedissequamente le tecniche , se ancor prima non si decide il contesto “morale” in cui collocarle”.


Sulla base di questa premessa faccio riflettere che la “casa comune” che stiamo costruendo, non è solo il frutto di una somma di “tecniche ingegneristiche” o di un aspetto individuale del nostro essere e del significato che diamo oggi alla nostra vita in una comunità fatta di non luoghi, dove non ci possiamo rivolgere ad una singola patologia perché è tutta la società che rischiamo di scoprire malata e non noi con la nostra sana follia, ma quindi come altre volte ho detto è proprio il trascendere il nostro corpo attraverso la "nostra intenzione paradossa" che essa stessa diventa la nostra nuova morale con la quale confrontarci per provare a costruire la "nostra casa" nella palude.



E, già. Il “terreno” nel quale dobbiamo costruire la "nostra casa" è una “palude” e quindi prima di costruirla dobbiamo capire che forza abbiamo noi per avventurarci in questa palude e valutare bene, anche quale tecnica "costruttrice" imparare, anche perché è probabile che non ci sia allo stato una tecnica adeguata in assoluto partendo dal fatto che stiamo sperimentandoci tutti ad affrontare questo terreno (nuovo) e paludoso della relazione con se stessi e con gli altri attraverso il nostro clown.


Quindi per costruirla su questo terreno dobbiamo comprendere che c’è necessità di umiltà, di senso della misura, di autentica sensibilità, di non entrare in competizione con se stessi e con gli altri, di ascolto (verso se stessi e verso gli altri) e quindi sostegno reciproco, avendo coscienza che questo viaggio che abbiamo intrapreso, prima che ci possiamo prendere cura degli altri, ci dobbiamo prendere cura di noi stessi.


Nessuno può scimmiottare un altro, ognuno dopo aver studiato la propria “morale" la propria forma" si deve preoccupare di preservare la proprio autenticità e personalità.


Il lavoro sul clown che stiamo cercando di fare insieme sulla base di questa nostra esperienza vorrei credo che sia un diversa dalle solite. Qui testimono semplicemente un valore frutto di un esperienze e di riscontri avuti sul campo in questa esperienza ed in particolare rispetto non al fine, ma all’ideale del nostro clown, fare comico terapia che potremmo riconiugare in "LOGOSCOMICOPIA".


La parola da sola non basta, il senso dell'essere se stessi non basta, bisogna invece riuscire a ridere di "se", in maniera più pia.


Per questo il bagaglio STANDARDS che vi invito a portare sempre dietro è: la consapevolezza dei vostri limiti, e la vostra autenticità.


Bisogna avere coscienza che l’esperienza del clown è spesso contraddittoria. Il clown è multiforme. Si deforma, e questo può far paura, o può essere utilizzato negativamente, come una forma di potere (dei più buoni) o soddisfando solo ed esclusivamente il proprio ego, che poi quando non riesce a confrontarsi in maniera sincera con gli altri rischia di rimanerne frustrato.

E, qui gli dei uccidono il clown!


Il clown è “uomo intero”. Il Clown ha la capacità di raccogliere e riciclare tutto e ricominciare d’accapo. Questo è il suo "valore politico”, questo è il suo “alto ideale”, questo è il suo senso “sociale” di libertà nei confronti degli stereotipi delle “maschere”, avendo coscienza che il clown è la maschera (nel senso di autenticità del significato della vita per ognuno di noi) , nel suo significato del tutto.

Ecco per questo dico che i Clown sono raggi di luce verso il cielo, e quando vanno su a sinistra incontrano la luna, mentre a destra il sole perché solo cosi sono capaci di ascoltare il fruscio delle stelle e fare magie gentili.


Ora ve ne svelo una: provate a spostare l'orologio e mettetelo sul polso opposto dove lo tenete di solito, da oggi e per un'anno. Perchè? Lo scoprirete da soli e nel tempo. Vi potrà capitare di farvi un sacco di risate ma questo non ha nessun effetto collaterale, come sapete. Male che vada mettetevi il pannolino.



State nella bellezza,

Nanos


P.S.
ops...dimenticavo ... noi non ci poniamo il problema di prenderci cura "solo" degli altri come clown "dottori" perchè daremmo per scontato che le "malattie" non sono anche le nostre. Le nostre come causa effetto di un modello sociale realizzato sulla "competizione" , "sull'invidia" .."sulla paura" e non sulla "amore". In questo senso la nostra associazione è "comunità libertaria di clown dottori e sociali e sognatori pratici". Solo partendo dalla realizzazione del significato vero della nostra vita possiamo prenderci cura dell'altro altrimenti è solo finzione.... spettacolo appunto senza nessun valore. Però, quando ci si prende cura dell'individuo nel contesto sociale ci si prende cura dell'intera società, famiglia luoghi.

Questa è solo la mia personale esperienza di clown. E' cosi che ho ridato un significato alla mia vita: ridere di me! Nanos

(L'autore del logo di questo post è il nostro carissimo amico e poeta irpino Gaetano Calabrese)





Nessun commento: