sabato 3 ottobre 2009

Il gabbiano le Sirene, tra silenzio e canto e specchi magici


Nei giorni scorsi mi sono chiesto se le Sirene sono pesci o uccelli e se per caso il Gabbiano non sia l’uccello che meglio possa comprendere le Sirene.

Il Gabbiano è abituato a volare tra cielo e mare anche lui. E’ acquatico e sa volare in alto come le stesse Sirene con il loro canto.

Il Gabbiano poi è consacrato a Teti - figlia di Urano e di Gea - e considerato un collegamento tra cielo e mare, dell'acqua dispensatrice di rigoglio e di fecondità. Il Gabbiano è anche il simbolo di una rapida pace e tranquillità tra gli elementi e forse è l'unico essere che può aiutare le Sirene a superare la loro infelicità.

E, già! Forse pochi lo sanno, ma le Sirene sono esseri infelici!


Le Sirene sono esseri infelici per la loro natura biforme: “gli artigli fanno pensare che si tratti di donne-uccello, secondo la tradizione più antica (certo condivisa da Omero, che peraltro non le descrive), e non di donne-pesce. Il fatto che i loro lamenti risuonino come un canto non ne allevia il dolore, e nel contempo le rende un pericolo per chi ascolta.”

Che quello delle sirene non sia un canto felice è anche l’opinione di Maurice Blanchot:
«Pare che cantassero, ma in un modo che non soddisfaceva, che lasciava appena intendere in quale direzione si aprissero le vere sorgenti e la vera felicità del canto. Tuttavia, coi loro canti imperfetti che erano un canto ancora a venire, guidavano il navigante verso quello spazio dove il canto potrebbe cominciare veramente. Non promette all’eroe nient’altro se non la copia di quel che ha già vissuto, conosciuto, sofferto, nient’altro se non lui stesso»

Ciò che le sirene promettono è falso, perché chi si lasciasse sedurre dalla loro voce incontrerebbe la morte, ma nel contempo è vero, «poiché è attraverso la morte che il canto potrà elevarsi e narrare all’infinito l’avventura degli eroi»


Ma, “…le Sirene hanno un'arma ancora più terribile del canto, il silenzio. Non è accaduto, ma si potrebbe pensare che qualcuno si sia salvato dal loro canto, ma certo non dal loro silenzio.” (1)

La stessa illusione, da parte di Ulisse, di essersi liberato delle sirene, di averle sconfitte con il suo buon senso, si rivelò infondata, perché «esse l’attirarono là dove egli non voleva cadere, e, nascoste dentro l’Odissea divenuta il loro sepolcro, lo impegnarono, lui e molti altri, a quella navigazione felice, infelice, che è il racconto».

“Ulisse, dunque, ha avuto bisogno di accostarsi alle sirene tanto da ascoltarne il canto, per avere un’esperienza realmente profonda da raccontare, ma ha dovuto sottrarsi a questo canto per poter sopravvivere e dar vita alla narrazione , al suo viaggio.” (Blanchot – «Ulisse diventa Omero»).


«Qui, presto, vieni, o glorioso Odisseo, grande vanto degli Achei, / ferma la nave, la nostra voce a sentire. / Nessuno mai si allontana di qui con la sua nave nera, / se prima non sente, suono di miele, dal labbro nostro la voce; / poi pieno di gioia riparte, e conoscendo più cose. / Noi tutto sappiamo, quanto nell’ampia terra di Troia / Argivi e Teucri patirono per volere dei numi; / tutto sappiamo quello che avviene sulla terra nutrice» (2)

Micheal Focault dice che, la promessa contenuta in questi versi è quella di cantare le vicende della guerra di Troia, quindi anche la storia dello stesso Ulisse.

Italo Calvino dice: «Cosa cantano le Sirene? Un’ipotesi possibile è che il loro canto non sia altro che l’Odissea. La tentazione del poema d’inglobare se stesso, di riflettersi come in uno specchio si presenta varie volte nell’Odissea, specialmente nei banchetti dove cantano gli aedi; e chi meglio delle Sirene potrebbe dare al proprio canto questa funzione di specchio magico?»

Beh! Mi convinco sempre più che il Gabbiano è l'unico essere che può aiutare le Sirene ad allievare il loro dolore.

Nanos





Bibliografia:
Da un’arte all’altra
, Giuseppe Zuccarino Novi Ligure (AL),
Edizioni Joker, “Materiali di Studio”, 2009.
Brani tratti da:
(1) - Il Silenzio delle sirene - Kafca
(2) - Omero, Odissea, XII, vv. 184-191, tr. it. Torino, Einaudi, 1963; 1984, p. 339.

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